IDENTIKIT DI UN EDITORE

Per ogni editore dovrebbe esistere un progetto culturale. Così si dice comunemente. Ma progetto è termine abbastanza ambiguo per lasciare aperta qualsiasi strada. È la passione di fare libri fini a sé stessi? O, diversamente, per propagandare un’idea, una fede, una costruzione morale, un disegno etico-sociale, per quanto vago e incerto possa apparire al lettore?

Medusa fa libri con una passione che certo non è fine a sé stessa.

Piuttosto riguarda molto da vicino il nostro essere uomini, coinvolti nella discussione sul presente che, pleonastico dirlo, non può mai considerarsi conclusa, presentando esiti sempre aperti a nuove scoperte, interessi e, purtroppo, anche stravolgimenti, manipolazioni, traviamenti.

Ogni discussione, se libera e sgravata dagli interessi che quasi naturalmente vi si aggrappano, esige una scommessa sulla quale puntare poste più o meno alte, più o meno impegnative.

Quelle di Medusa lo sono perché puntano sull’uomo in quanto tale, non su come dovrebbe essere o su come qualcuno vorrebbe che esso fosse. Oggi questo non ci è consentito, per la semplice ragione che ciò che l’uomo dovrebbe essere supera e di molto l’orizzonte delle nostre pretese, e quanto alla nostra volontà di orientarlo, incontriamo forze immensamente più forti e potenti di ogni pur legittimo tentativo di comprenderle e, nel caso, contrastarle.

Ci limitiamo ad attingere, nell’immensa riserva della cultura umana della modernità, e non solo di questa, ciò che riteniamo all’altezza, qualitativa, di queste domande.

La scommessa su cui puntiamo le nostre poste più ricche è proprio quella della qualità di questa interrogazione, la capacità di garantire voci e figure culturali che non restringano l’orizzonte, magari dall’alto di una risonanza costruita solo sui dati di vendita di un’opera, di un titolo, di un personaggio.

I nostri libri dovrebbero interessare il pubblico animato da curiosità non futili.

Lettori forti, dunque, in grado di scartare dalle idées reçues, dai luoghi comuni per affrontare paesaggi culturali diversi, anche complessi; per non dire distanti dalle proprie certezze.

È per questo che Medusa ha incontrato nella sua strada ventennale anche i “classici”, vi ha avuto a che fare, da vicino. Il classico per noi è un “moderno” non monumentale. È un libro che aspira e raggiunge una sorta di permanenza nella precarietà attuale dei punti di riferimento. Non è un caso che uno dei primi libri di Medusa è stato la riflessione sul classico di un maestro, troppo poco frequentato, purtroppo, come Rosario Assunto. François-René de Chateaubriand, ad esempio, sulla Rivoluzione lo consideriamo un classico; ma lo è anche l’ultimo Blumenberg che cerca di uscire dalla caverna platonica argomentando per più di ottocento pagine.

Guardarsi in giro, muoversi sul limitare del brolo, cogliere dagli alberi i frutti che non sono stati ancora colti perché, forse colpevolmente, abbandonati a vantaggio di primizie che spesso di rivelano oggi solo acerbe e domani, chissà, solo frutti amari non più commestibili.

Tale e tanta è la produzione libraria nel nostro paese, che spesso i tratti salienti che caratterizzano un editore si sperdono nelle suggestioni del mercato, nella predominanza di un genere o nella facile partizione delle discipline. Medusa non si rassegna a quelle dotte partizioni che in troppi casi si rivelano barriere insormontabili per la libertà della sua proposta editoriale.

Ed è per questo che i suoi primi vent’anni sono solo l’inizio. Il resto ci attende e noi lo aspettiamo desiderosi di guardarlo in faccia.